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Audition streaming film megavideo


Takashi Miike, prolifico regista giapponese dalla media di quattro produzioni l'anno, è una mina vagante pronta ad esplodere con violenza pur di comunicare il proprio messaggio. Adattamento di un romanzo di Murakami Ryu, Audition, spesso indicato come capolavoro dell'autore, non fa eccezione rivelandosi un prodotto particolarmente estremo e di difficile catalogazione.
Un produttore cinematografico rimasto vedovo decide, dopo anni di solitudine, di risposarsi. Un suo collega ed amico organizza un'audizione di casting fittizia dove l'uomo, in principio riluttante, incontra una misteriosa giovane di cui si innamorerà follemente: la scelta sfortunamtamente si rivelerà infelice.
Il tema della solitudine non è che una delle molteplici chiavi di lettura possibili. Se la prima parte del film descrive, in uno sfoggio di coralità compositiva, la recondita tristezza di un uomo, la seconda ci sorprende virando verso un'immersione profonda nel lato più nero dell'animo umano. In questo contesto la situazione del protagonista accostata a quella della sua controparte femminile viene radicalmente ridimensionata: la solitudine qui non è che un elemento caratterizzante di una condizione ben più grave. La vittima diviene carnefice in un ciclo che non trova origine se non nella deviazione pura, dove follia, sadismo e perversione si confondono; il tutto senza bisogno di scomodare fantasmi o demoni.
Grotteschi incisi onirici, al saltare dei piani narrativi, spaziali e temporali, riveleranno l'essenza stessa dell'estremo messaggio. Sequenze deliranti portano all'attezione dello spettatore un orrore forzato e avvolgente al quale non è possibile sottrarsi nemmeno distogliendo lo sguardo: "troppo facile non guardare", sembra ammonire soddisfatto l'autore. E' un cinema meno visionario di quanto sembri, che costringe a pensare, a cercare un senso, tramite un viaggio iperbolico attraverso realtà malate e terrificanti. Scorre lento, forse troppo, per poi sfociare in un vorticoso finale. I contenuti pesanti, certo non per tutti gli stomaci, rappresentano allo stesso tempo potenza espressiva e limiti di un'opera che fa genere a sé. Riduttivo e superficiale archiviarlo come semplice "horror".


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