John Waters in questo film stecca. Sì, proprio lui, il regista indipendente americano per eccellenza, il cineasta del tutto folle e controcorrente che nei suoi film ha esaltato coprofagia ( Pink flamingos, 1972) e obesità ( Grasso è bello, 1988) e serial killers ( La signora ammazzatutti, 1994) come valori rivoluzionari. Fino ad "ironizzare" sulla violenza sessuale in Female trouble (1974), che teorizza l'autostupro femminile. In A morte Hollywood John Waters eccede e basta. Il film racconta (ironicamente, e probabilmente) la sua storia da giovane: quello di un tranquillo impresario teatrale che di notte si trasforma e diventa Cecil B. Demented (probabilmente storpiatura del cineasta Cecil B. De Mille), un regista underground che odia Hollywood e fonda una compagnia di disadattati cinematografici - i "Perforati d'acciaio" - che cercano di fare un film controcorrente al grido di "Molti ragazzi sognano di girare film. Solo quelli pronti a morire ci riescono". Come? Rapendo una delle stelline hollywoodiane più capricciose che ci siano, Honey Withlock (alias Melanie Griffith), fino a convincerla con metodi terroristici di diventare la loro stella underground. Il film si salva grazie ad una certa autoironia.
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